MICHEL CLOUSCARD
Il liberalismo esigé, oltre che di una deregolamentazione sul piano economico, anche di una deregolamentazione della morale, poiché qualsivoglia regola poteva rappresentare un freno alla potenziale creazione di nuovi mercati, tra cui quelli più fruttuosi (alcool, droghe, sesso, violenza, gioco). Il costo sociale di una tale liberalizzazione della morale è troppo alto secondo Clouscard, che propone in proposito una morale socialista responsabilizzante rappresentata da un terzo organo, dopo i tre teorizzati da Montesquieu, ovvero un Parlamento del lavoratore collettivo, dove si discuta la necessita di un equilibrio tra produzione e consumo.
Ma ritornando sul piano storico, la creazione della società dei consumi, cifra del Capitalismo liberal-libertario, si creò grazie a quello che Clouscard definisce “potlatch di una parte del plus valore”. Vi fu, grazie all’intrusione del piano Marshall in Europa, il passaggio da un’economia della miseria e della rarità, ovvero della mancanza, ad un’economia dell’abbondanza. Questo processo creò un fenomeno radicalmente nuovo secondo il filosofo: l’immanenza dell’economico nel culturale. La cultura divenne espressione dei bisogni ideologici del Mercato. Nelle società tradizionali questi concetti mantenevano una considerevole distanza e una forte autonomia. La cessione di questo surplus introdusse una nuova dialettica padre-figlio. Da un lato viene concessa al padre borghese e produttore una parte del plusvalore in forma di aumento del salario (siamo nel periodo delle trente glorieuses in Francia, e del miracolo italiano), e viene concessa al figlio sotto forma di vestiario, oggetti, svaghi e gadget, e ha una funzione economica precisa, l’incoraggiamento all’acquisto, è un surplus ludico. Da un lato il pane, dall’altro i giochi. Il figlio quindi, in contrapposizione formale al padre borghese, non “ha”, e pretende uscire dalla dimensione del denaro, dal potere tradizionale della borghesia contro cui protesterà, sempre formalmente, a partire dal Maggio 68′. Il figlio si pone come totalmente al di fuori dall’oppressione in luogo di produzione, ma risponde alla sola gratuità dell’uso e del consumo. Se le società tradizionali erano oppressive, nel senso in cui dovevano sottomettere il principio di piacere al principio di realtà, il neo-capitalismo dovette creare un’educazione al consumo, allo spreco, all’uso, un’attitudine che proni la piena espressione di questo principio di piacere. Il Capitalismo si rinnova perciò in una nuova fase, quella del gioire senza l’avere, dell’usare e della simbologia che si cela dietro questo uso, che non è mai un possesso, che è sempre un consumo, uno spreco di una parte del plus valore. L’apprendimento della vita non è più apprendimento del produrre, o del mestiere, ma dello sprecare, dell’usare seguendo la giusta simbologia. Questo uso si è reso accessibile grazie alla tecnologia della società industriale leggera e avanzata. Basta premere su un bottone e parte il juke-box, il flipper. Come suggerisce lo stesso Weber, si percepisce solo il risultato del processo di produzione, senza una vera conoscenza delle cause né dei fini. L’unico fine è quello di rigiocare, di riprodurre, di ripetere il gioco, di verificare l’ordine costituito senza una finalità. E’ il contrario stesso del lavoro, sempre finalizzato a qualcosa di nuovo. Tuttavia, una volta finita l’adolescenza, integrato il figlio nel mondo del lavoro, il luogo di produzione rimarrà oppressivo, per garantire la permissività centuplicata in luogo di consumo. Ora il figlio può consumare solo se si sottomette producendo. Questa è la vera innovazione del Capitalismo, cui non interessa più l’avere per l’avere (la concezione protestante del mondo) ma l’avere per l’usare, per consumare. Questa pratica alto-borghese, perché concessa solo ad un’élite della consumazione (i figli borghesi sessantottini), economicamente in grado di sprecare, consumare, buttare, rompere, è divenuta in seguito la pratica di una classe, poi l’ideologia di una generazione e oggi dell’intera società dei consumi.
Clouscard, tuttavia, si smarca dal facilismo di Marcuse che considerò la classe operaia integrata alla società dei consumi nel momento in cui svendette gli ideali rivoluzionari marxisti per il frigorifero e l’automobile. In questo senso lo stesso Marcuse occulterà quella lotta di classe che Clouscard mette in evidenza anche all’interno della società postmoderna. Dietro l’apparente amalgama che si fa della società dei consumi, si definisce il proletariato una classe alienata nella consumazione al pari delle altre. Mentre Clouscard ravvisa che il proletariato aveva un accesso relativo alla società dei consumi che gli consentì di godere solo dei beni di sussistenza e di equipaggiamento (televisione, frigorifero, automobile). Quello del proletariato non fu altro che un accesso marginale e immaginario alla società dei consumi, popolata soprattutto dalla classe media piccolo-borghese, dai figli borghesi che al contrario dei padri – produttori in vista dell’accumulazione – consumavano senza produrre dando vita alla nuova condotta trasgressiva libidinosa e ludica. Al contrario, il consumo dei beni di equipaggiamento, permetteva alla classe operaia di rifocillarsi per ricreare la sua forza produttiva. L’accesso alla consumazione è solo immaginario per il proletariato, educato al principio di realtà e quindi abituato a sacralizzare e rispettare ciò che produce, impossibilitato a soccombere alle logiche ludiche dello spreco e del consumo. Come sottolinea Clouscard, però, nel frattempo le dinamiche sono cambiate e si è cercato di introdurre – seducendoli – anche i figli del proletariato all’interno del mercato del desiderio. Ma una gerarchia, secondo Clouscard, esiste ancora, e si cela tra i due poli del più significativo e del meno significativo grado di accesso al mondo dello spreco, sola dimensione restituita dal Capitalismo liberal-liberatrio. La società dei consumi non è quindi una realtà omogenea, ma un campo in cui si ricompone, seppur nell’alienazione generalizzata, una società piramidale.
Quella di Michel Clouscard è quindi una sottile disamina della sovrastruttura del nuovo capitalismo che crea nuovi bisogni e nuovi mercati, che propaganda, già a partire dal militantismo libertino di Diderot e dal positivismo materialista di Voltaire, la formula: “la liberazione del desiderio produrrà la liberazione del proletariato”. E’ quindi l’idea di un’emancipazione trasgressiva a fare il gioco del nuovo modo di produzione dell’industria leggera, e ancora una volta Clouscard mette in evidenza il ruolo dell’intellighenzia che legittima costantemente gli innovativi modi di produzione capitalistici.
Clouscard muore nel 2009, emarginato dai colleghi e poco conosciuto al grande pubblico. In quanto marxista, ci lascia con un monito che vuole far riflettere: “lo Stato fu l’istanza sovrastrutturale della repressione capitalistica. E’ il perché Marx lo denuncia. Ma oggi, con la mondializzazione, il rovesciamento è totale. Allorché lo Stato nazionale fu il mezzo di oppressione di una classe da parte di un’altra, questo diventa il mezzo per resistere alla mondializzazione”.